Intervento in Aula - 1° luglio 2009
di Paolo Rossi
Uno spettro si aggira se non per l'Europa, almeno in Italia: agitato come una clava in campagna elettorale, il problema della sicurezza – reale, virtuale o percepita che dir si voglia – si è tradotto in provvedimenti che vorrebbero scandagliare chissà quali profondità e che, purtroppo, agiscono invece solo sul versante più prossimo all'odierno conformismo.
Il tema in oggetto, infatti, coinvolge non solo e indifferentemente la società nel suo complesso, ricadendo a pioggia sulle fasce più deboli della popolazione che rimangono l'anello più esposto della catena sociale, ma una serie di addentellati che formano insieme il senso stesso di uno Stato di diritto.
Voglio dire che non si può affrontare il tema della sicurezza senza andare a intervenire sull'idea di società che si vuol realizzare e che vi sottostà. Ora, dinanzi alle spinte riformistiche messe insieme e rivendicate dal centrodestra, inverate nella spiccia filosofia di Umberto Bossi e della politica leghista («Ognuno è padrone in casa sua…»), francamente mi sfugge il disegno.
Soltanto ieri – sulla prima pagina di un foglio scapigliato e rivoluzionario qual è il «Corriere della sera» – Piero Ostellino enumerava i ritardi e le colpe di un Paese che si avvia a divenire la brutta copia di una brutta America. Certo le contraddizioni non mancano: si punta il dito, a ragione, contro l'immigrazione clandestina ma in comparti come quello agricolo o edile, in cui i lavoratori italiani sono ormai un'esigua minoranza, quanti piccoli e medi imprenditori si servono di mano d'opera a nero? Non è questo un tema che attraversa il piano più generale della sicurezza?
È notizia di oggi, che si aggiunge al quotidiano bollettino delle morti sul lavoro: quella dei due operai folgorati nel Pavese. Non riguarda la sicurezza?
Troppi morti sul lavoro e sulle strade, ma non solo. Caporalato al Meridione, bullismo nelle scuole, carceri sovraffollate, strutture fatiscenti, lentezza dei processi, disagi non solo formali della polizia penitenziaria, ritardi nelle sempre più urgenti riforme di cui abbisognerebbe la disciplina penale per un giusto processo, sostanziale assenza di sanzioni o, comunque, sanzioni inadeguate alla colpa commessa, e via enumerando: non sono questi solo alcuni degli elementi in cui a più vasto raggio può declinarsi il problema della sicurezza che, cacciato dalla porta del provvedimento di legge inevitabilmente rientrerà dalla finestra della cronaca e dei telegiornali?
Mi limito ai proclami di Alemanno e della sua Giunta: non mi sembra che per quantità o qualità i crimini nella capitale siano diminuiti: ciò che è mutata è la risonanza mediatica, trasformatasi da propaganda in minaccia.
Per questo riflettevo sul disegno della società che si vuol realizzare, a fronte di una materia così delicata e complessa: non voglio per questo mescolare le carte per appoggiare indirettamente forme di garantismo che si rivelerebbero miopi, e soprattutto inefficaci, rispetto alla grande trasformazione in atto nella società. E tuttavia promuovere le ronde di cittadini con le automobili della Polizia senza benzina nei garage è grave non tanto per la cosa in sé, ma perché veicola palesemente un'impotenza cui lo Stato non riesce a far fronte: un'impotenza velata dei pericoli che comportano (in una sorta di Medioevo prossimo venturo, come si intitolava un libro di qualche anno fa) le forme di faida, il diritto di farsi giustizia da soli, e dunque il pericolo di una giustizia sommaria. Tutti elementi che, in una parola, alimentano sfiducia nelle istituzioni.
Una polizza assicurativa non impedisce il verificarsi di sinistri: e comunque il problema della sicurezza non si risolve con il semplice – se pur necessario – aumento delle forze dell'ordine sul territorio, né tantomeno con il poliziotto di quartiere. Il punto è quale natura deve assumere, quale identità vogliamo che assumano quel territorio e quel quartiere: a Bossi e a quant'altri piacerebbe, probabilmente, disporre di forza lavoro senza pagare alcun prezzo da un punto di vista sociale, avere in sostanza a disposizione una casta di invisibili. Ma, rispetto alle trasformazioni ormai macroscopiche della società italiana ed europea, la politica rischia di rimanere un passo indietro: è necessario un progetto di ampio respiro che guardi sì alla sicurezza, ma anche ai possibili modelli di integrazione che ormai investono aspetti economici, culturali e religiosi.
Essere padroni in casa propria non ha alcun senso, se quella casa e la nostra libertà di espressione sono minacciate.
Più volte ho auspicato che il primo articolo della nostra Costituzione possa essere riformulato in un'Italia fondata non tanto e non solo sul lavoro, ma sulla dignità della persona. È evidente che ogni cittadino deve poter agire liberamente, senza per questo sentirsi minacciato nella sua libertà d'espressione.
Voglio ribadire, in conclusione, che compito dello Stato è predisporre una serie di misure affinché il cittadino possa essere tutelato: in sintesi non solo sia sicuro, ma soprattutto senta di esserlo, nell'adempimento dei doveri e nel rispetto delle regole. Ciò che evidentemente sfugge a queste Disposizioni in materia di sicurezza pubblica è che è la cultura della legalità a portare sicurezza, non viceversa. Non è una "pace del terrore" per cui dobbiamo lavorare, ma una società che se sarà più equa e più giusta, sarà più responsabile e onesta, e dunque più sicura.
di Paolo Rossi
Uno spettro si aggira se non per l'Europa, almeno in Italia: agitato come una clava in campagna elettorale, il problema della sicurezza – reale, virtuale o percepita che dir si voglia – si è tradotto in provvedimenti che vorrebbero scandagliare chissà quali profondità e che, purtroppo, agiscono invece solo sul versante più prossimo all'odierno conformismo.
Il tema in oggetto, infatti, coinvolge non solo e indifferentemente la società nel suo complesso, ricadendo a pioggia sulle fasce più deboli della popolazione che rimangono l'anello più esposto della catena sociale, ma una serie di addentellati che formano insieme il senso stesso di uno Stato di diritto.
Voglio dire che non si può affrontare il tema della sicurezza senza andare a intervenire sull'idea di società che si vuol realizzare e che vi sottostà. Ora, dinanzi alle spinte riformistiche messe insieme e rivendicate dal centrodestra, inverate nella spiccia filosofia di Umberto Bossi e della politica leghista («Ognuno è padrone in casa sua…»), francamente mi sfugge il disegno.
Soltanto ieri – sulla prima pagina di un foglio scapigliato e rivoluzionario qual è il «Corriere della sera» – Piero Ostellino enumerava i ritardi e le colpe di un Paese che si avvia a divenire la brutta copia di una brutta America. Certo le contraddizioni non mancano: si punta il dito, a ragione, contro l'immigrazione clandestina ma in comparti come quello agricolo o edile, in cui i lavoratori italiani sono ormai un'esigua minoranza, quanti piccoli e medi imprenditori si servono di mano d'opera a nero? Non è questo un tema che attraversa il piano più generale della sicurezza?
È notizia di oggi, che si aggiunge al quotidiano bollettino delle morti sul lavoro: quella dei due operai folgorati nel Pavese. Non riguarda la sicurezza?
Troppi morti sul lavoro e sulle strade, ma non solo. Caporalato al Meridione, bullismo nelle scuole, carceri sovraffollate, strutture fatiscenti, lentezza dei processi, disagi non solo formali della polizia penitenziaria, ritardi nelle sempre più urgenti riforme di cui abbisognerebbe la disciplina penale per un giusto processo, sostanziale assenza di sanzioni o, comunque, sanzioni inadeguate alla colpa commessa, e via enumerando: non sono questi solo alcuni degli elementi in cui a più vasto raggio può declinarsi il problema della sicurezza che, cacciato dalla porta del provvedimento di legge inevitabilmente rientrerà dalla finestra della cronaca e dei telegiornali?
Mi limito ai proclami di Alemanno e della sua Giunta: non mi sembra che per quantità o qualità i crimini nella capitale siano diminuiti: ciò che è mutata è la risonanza mediatica, trasformatasi da propaganda in minaccia.
Per questo riflettevo sul disegno della società che si vuol realizzare, a fronte di una materia così delicata e complessa: non voglio per questo mescolare le carte per appoggiare indirettamente forme di garantismo che si rivelerebbero miopi, e soprattutto inefficaci, rispetto alla grande trasformazione in atto nella società. E tuttavia promuovere le ronde di cittadini con le automobili della Polizia senza benzina nei garage è grave non tanto per la cosa in sé, ma perché veicola palesemente un'impotenza cui lo Stato non riesce a far fronte: un'impotenza velata dei pericoli che comportano (in una sorta di Medioevo prossimo venturo, come si intitolava un libro di qualche anno fa) le forme di faida, il diritto di farsi giustizia da soli, e dunque il pericolo di una giustizia sommaria. Tutti elementi che, in una parola, alimentano sfiducia nelle istituzioni.
Una polizza assicurativa non impedisce il verificarsi di sinistri: e comunque il problema della sicurezza non si risolve con il semplice – se pur necessario – aumento delle forze dell'ordine sul territorio, né tantomeno con il poliziotto di quartiere. Il punto è quale natura deve assumere, quale identità vogliamo che assumano quel territorio e quel quartiere: a Bossi e a quant'altri piacerebbe, probabilmente, disporre di forza lavoro senza pagare alcun prezzo da un punto di vista sociale, avere in sostanza a disposizione una casta di invisibili. Ma, rispetto alle trasformazioni ormai macroscopiche della società italiana ed europea, la politica rischia di rimanere un passo indietro: è necessario un progetto di ampio respiro che guardi sì alla sicurezza, ma anche ai possibili modelli di integrazione che ormai investono aspetti economici, culturali e religiosi.
Essere padroni in casa propria non ha alcun senso, se quella casa e la nostra libertà di espressione sono minacciate.
Più volte ho auspicato che il primo articolo della nostra Costituzione possa essere riformulato in un'Italia fondata non tanto e non solo sul lavoro, ma sulla dignità della persona. È evidente che ogni cittadino deve poter agire liberamente, senza per questo sentirsi minacciato nella sua libertà d'espressione.
Voglio ribadire, in conclusione, che compito dello Stato è predisporre una serie di misure affinché il cittadino possa essere tutelato: in sintesi non solo sia sicuro, ma soprattutto senta di esserlo, nell'adempimento dei doveri e nel rispetto delle regole. Ciò che evidentemente sfugge a queste Disposizioni in materia di sicurezza pubblica è che è la cultura della legalità a portare sicurezza, non viceversa. Non è una "pace del terrore" per cui dobbiamo lavorare, ma una società che se sarà più equa e più giusta, sarà più responsabile e onesta, e dunque più sicura.
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