di Giuseppe Adamoli (Assemblea nazionale PD 8.9 Ottobre 2010)
In questa parte d’Italia il Pd ha avuto problemi enormi di sintonia con la società. Inutile minimizzare. Ma tutta la politica nel suo insieme ha problemi enormi di funzionamento e di efficienza, malgrado la propaganda della destra. La vicenda dell’Expo 2015 è sintomatica. E’ un esempio di impotenza e arroganza del potere, di inefficienza della pubblica amministrazione nel cuore della Lombardia.
Mi domando che cosa sarebbe accaduto se fosse successo al sud. Si sarebbe sollevata, qui da noi, un’ondata di indignazione, magari accompagnata dalla solita minaccia dei dieci milioni di fucile padani. E’ la rappresentazione del distacco che anche qui, nel profondo nord, esiste fra società e istituzioni.
La domanda è: perché fatichiamo così tanto a trasformare questa insoddisfazione reale in un consenso per il Pd? Ce n’è un’altra più particolare che m’interessa molto. Come mai nella diocesi che fu guidata da Paolo Sesto, dal card. Martini, e oggi dal card. Tettamanzi, con la loro grande apertura sociale, con l’insegnamento alla tolleranza e alla convivenza civile, noi stentiamo e la destra vince?
In sostanza perché vince la Lega? Si dice: perché è un partito radicato. Risposta solo parzialmente fondata, in gran parte sbagliata. Vince perché ha nella sua cultura individualistica e localistica la protezione del singolo individuo, del singolo territorio, della singola impresa, del proprio pezzetto di terra Vince perché soffia sul fuoco della paura come tutti i partiti di destra in Europa, oggi sulla cresta dell’onda. Vince perché interpreta un sentimento diffuso.
Il contrario del sentimento che deve alimentare una grande forza di centrosinistra. Parlo di un orizzonte di uguaglianza, di giustizia sociale, di pari opportunità, di apertura verso tutti i cittadini.
Eppure la Lega è stata aiutata da noi, dalle nostre esitazioni e superficialità. Forse dettate dalla speranza di poterla un giorno avere come nostro alleato. Me lo permettano lombardi e varesini. C’è stato un clamoroso fraintendimento. La formula dalemiana della Lega come costola della sinistra è stata mal capita e peggio implementata. La nostra opposizione si è fatta raramente alternativa culturale. Siamo sempre all’inseguimento. Non dobbiamo inseguirla più.
Abbiamo di fronte a noi un’Italia divisa in due con il sud sempre più in difficoltà. Così si è rubata la speranza ad una intera generazione almeno. Continuando così si attua una secessione strisciante, silenziosa. Meno eclatante delle separazioni territoriali del Belgio e di altri Paesi europei ma egualmente pericolosa. Lo sento nella gente, ormai c’è acquiescenza e assuefazione. Non c’è più reattività.
Con questa frattura fra le due Italie quale 150esimo dell’Unità celebreremo l’anno prossimo? Questo è un problema enorme anche per il nord. Dobbiamo gridarlo da qui. Far capire a tutti che la Lombardia è stata più grande, e ne ha tratto vantaggi fortissimi, quando ha saputo svolgere una funzione nazionale, piuttosto che quando si è ripiegata su stessa. Ho affermato con forza questo concetto anche quando, da presidente della commissione, abbiamo fatto lo statuto d’autonomia della Lombardia che porta dentro questo linea di apertura all’Italia e all’Europa.
Oggi abbiamo un Paese ingiusto e spaccato. Impugnare la bandiera di una nuova Unità è il compito di un grande partito nazionale di centrosinistra. Serve una riforma profonda dello stato. Il Pd deve mettersi alla testa di questa riforma. Il federalismo istituzionale per essere all’altezza del compito deve darsi l’obiettivo di superare il dualismo economico e sociale, di scrivere in modo nuovo e moderno la storia unitaria.
Il federalismo fiscale è importante ma separato dalla riforma complessiva non diventerà mai sentimento di popolo. Lo può diventare se riunifica il Paese, se rende più stabili e forti le istituzioni deboli di oggi al nord, al centro e al sud.
Per rendere credibile questo progetto anche il Pd deve diventare federale. Ma sul serio. Nessun partito del nord. Non vorrei più ascoltare questi discorsi. Ma un’autonomia effettiva nello scegliere i rappresentanti nelle istituzioni e i parlamentari, nel rapportarsi con le forze sociali e politiche, nelle forme di partecipazione da realizzare.
E’ la sfida che bisogna lanciare alla destra, e in particolare alla Lega, da questo luogo in cui è nata. E’ la sfida che da sola giustifica, motiva, rende necessario un grande partito democratico.
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