A quasi novant'anni di distanza questa festa ha perso il suo significato come anniversario di un evento troppo lontano nel tempo, ma ha assunto una valenza storica per come ha segnato la nostra identità nazionale.
La festa civile del 4 novembre, che ricorda la conclusione della Prima guerra mondiale, avvenuta con la firma dell’armistizio a Vittorio Veneto, a quasi novant’anni di distanza ha perso il suo significato di ricorrenza per assumerne uno più legato al suo significato storico.
La fine della Grande guerra avvenne appunto il 4 novembre 1918, con la firma a Villa Giusti dell’armistizio da parte del comandante supremo Armando Diaz, che diede l’annuncio con il famoso Bollettino della Vittoria.
Questa ricorrenza da diversi anni ormai ha perso la prerogativa di giorno festivo, e la sua celebrazione viene spostata alla domenica più vicina. Ma qual è l’importanza di questa festa al giorno d’oggi?
Dicevamo del suo significato storico, non nel senso di anniversario ovvero del ricordo di fatti successi in un determinato giorno a distanza di un certo numero di anni, ma per come questa festa abbia contribuito, più di altre ricorrenze, a formare l’identità nazionale e a far nascere quella che alcuni storici chiamano la “religione civile”.Quindi, dal punto di vista storico, è interessante conoscere la sua evoluzione nel tempo e il nesso tra questa celebrazione e la formazione dello spirito nazionale, che in Italia non è particolarmente radicato.
Innanzitutto va sottolineato come questa festa sia l’unica presente nei calendari civili dei tre sistemi politici – liberale, fascista, repubblicano – che si sono susseguiti in Italia nel ventesimo secolo. Nonostante sia rimasta l’unica autentica vittoria militare di rilievo dell’intera storia nazionale, trascorsero ben quattro anni prima che l’ultimo governo a guida liberale dichiarasse il 4 novembre festa nazionale.Nel 1919, infatti, nel primo anniversario le lacerazioni del mondo politico a causa dalle delusioni seguite alle aspettative generate dalla vittoria, non vennero promosse cerimonie pubbliche per evitare contrapposizioni, anche di piazza.All’indomani dell’affermazione dei socialisti nelle elezioni del 1919, critici nei confronti della condotta della guerra e dei suoi costi, il governo liberale cominciò a guardare con spirito diverso quella “politica della memoria” fatta propria da ogni grande e piccola amministrazione locale, sotto la spinta di comitati patriottici o associazioni di reduci.Questo anniversario, come pure quello del 24 maggio (l’inizio della guerra), offrirono le principali occasioni rituali per l’erezione di monumenti e parchi della rimembranza dedicati alla memoria dei caduti.Le prime celebrazioni ufficiali si ebbero nel 1920, nel secondo anniversario, con una cerimonia presso il Vittoriano, consacrato come Altare della Patria, con la presenza delle autorità, corpi militari e associazioni di reduci e i momenti più solenni suggellati dalla Marcia reale a riprova del ruolo preminente del sovrano e dei Savoia.L’anno successivo, nel 1921, il terzo anniversario della Vittoria fu celebrato in forma solenne con l’inumazione della salma del Milite ignoto nel Vittoriano. Fu la più imponente manifestazione patriottica dell’Italia prefascista. Fautore della cerimonia il socialista riformista Ivanoe Bonomi, all’epoca ministro della Guerra, che avrà un ruolo anche legato a queste celebrazioni anche più avanti.In quest’occasione fece la sua comparsa per la prima volta in una cerimonia ufficiale la Canzone del Piave, alternata alla Marcia reale e all’Inno di Mameli.Questa cerimonia fu anche un prototipo di rituale per una cerimonia pubblica, inesistente fino ad allora, che è rimasto pressoché identico fino ad oggi, dove accanto alle presenze militari e istituzionali vi sono le associazioni combattentistiche e d’arma e la presenza del clero.Si deve giungere, però, al 1922 per l’introduzione nel calendario del 4 novembre come giorno festivo, con il nome di Festa nazionale per l’anniversario della Vittoria.Con l’avvento del fascismo questa ricorrenza fu sfruttata a fini propagandistici dal regime, ma fu relegata in secondo piano rispetto ad altre festività proprie del fascismo, anche a causa della vicinanza con la più importante di queste, l’anniversario della Marcia su Roma del 28 ottobre.Con la caduta del fascismo ritroviamo Ivanoe Bonomi, nel 1944 a capo del suo secondo governo sostenuto da CLN, che ripristina la festa del 4 novembre per significare la continuità dello Stato.Dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana la festa cambia nome da Festa della Vittoria a Giorno dell’Unità nazionale, denominazione che vuol mettere l’accento sul completamento dell’unificazione territoriale iniziato con il Risorgimento, piuttosto che sulla vittoria bellica.
Ma fu con la ridefinizione del calendario festivo del 1977 che fu tolto il giorno festivo e la ricorrenza ebbe sempre meno visibilità, nonostante la ridenominazione in Festa dell’Unità nazionale.Dalla fine degli anni sessanta vi fu una crisi dell’immagine militare. Seguirono diverse riforme dell’Esercito e la nascita dell’obiezione di coscienza. Toccò al Presidente della Repubblica Pertini, combattente nella Grande guerra e partigiano nella seconda, a risollevarne le sorti e nel 1983, con l’esercito impegnato per la prima volta in una missione all’estero in Libano, proclamò la festa del 4 novembre Festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate, attualmente in uso.Questa denominazione vuole da un lato sottolineare l’aspetto patriottico di appartenenza alla nazione e dall’altro evidenziare come anche le Forze armate ne siano parte integrante, fedeli alla Repubblica e alle sue istituzioni.
La festa del 4 novembre, quindi, al di là dell’anniversario che celebra, ha una valenza storica per come ha segnato nel tempo la nostra identità nazionale e mostri come si è evoluta la memoria pubblica del nostro paese.
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